ET studierà le onde gravitazionali, un fenomeno fisico previsto dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein oltre un secolo fa, e osservate per la prima volta il 14 settembre 2015 dalle collaborazioni scientifiche LIGO e Virgo grazie ai due interferometri gravitazionali gemelli LIGO negli Stati Uniti, uno nello stato di Washington e l’altro in Louisiana. L’importanza storica della scoperta delle onde gravitazionali, prodotte dalla coalescenza di due buchi neri, è stata riconosciuta con il premio Nobel nel 2017. L’interferometro europeo Virgo si è unito ai due LIGO nella ricerca delle onde gravitazionali nel 2017, contribuendo, tra le molte osservazioni congiunte di onde gravitazionali, alla localizzazione nel cielo della sorgente astrofisica della prima osservazione multimessaggera, il 17 agosto 2017, in cui la coalescenza di due stelle di neutroni è stata studiata sia attraverso le onde gravitazionali sia attraverso la radiazione elettromagnetica.
La scienza di ET
La relatività generale e le onde gravitazionali
Le onde gravitazionali sono infinitesimali vibrazioni dello spaziotempo, prodotte dal movimento accelerato delle masse. Secondo la relatività generale, infatti, il nostro universo è caratterizzato da una struttura quadrimensionale chiamata spaziotempo, in cui le tre dimensioni spaziali si fondono con il tempo: sono i corpi a definirne la geometria dando indicazioni sulla forma che deve assumere, mentre lo spazio, curvandosi sotto la massa dei corpi, dà indicazione a questi su come devono muoversi.
Ascolta il cinguettio (chirp) della prima onda gravitazionali rivelata
In questo ambiente, le masse in movimento accelerato – pensiamo per esempio a grandi masse, come buchi neri o stelle di neutroni che si scontrano – producono nello spaziotempo delle vibrazioni, delle increspature infinitesimali, che si propagano nell’universo alla velocità della luce. Per farsi un’idea del fenomeno, proviamo a pensare a quello che succede all’acqua di uno stagno quando vi cade un sassolino, o a un telo elastico teso quando vi rotola sopra un peso. Queste vibrazioni piccolissime dello spaziotempo, impercettibili a noi, sono le onde gravitazionali, messaggeri cosmici che, attraversando indisturbati lo spazio profondo, arrivano anche sulla Terra, dove i nostri sofisticatissimi interferometri riescono a rivelarli. Le onde gravitazionali sono vibrazioni talmente piccole che lo stesso Einstein pensava che non saremmo mai riusciti a costruire degli strumenti capaci di misurarle. Si tratta, infatti, di misurare delle variazioni di lunghezza molto più piccole del diametro di un atomo. E, infatti, la loro ricerca è durata oltre un secolo e ha portato nell’arco di cinquant’anni allo sviluppo di rivelatori sempre più precisi. Le onde gravitazionali che oggi siamo in grado di misurare sulla Terra sono quelle prodotte negli eventi astrofisici più energetici che avvengono nel cosmo, come la fusione di stelle di neutroni e di buchi neri. Le onde gravitazionali sono dei preziosissimi messaggeri cosmici perché viaggiano indisturbate portando fino a noi informazioni uniche sulle sorgenti che le hanno prodotte.
L’astronomia multimessaggera
Riuscire a osservare le onde gravitazionali ha aperto la via a due modi completamente nuovi di studiare l’universo: l’astronomia gravitazionale e l’astronomia multimessaggera. In particolare, quest’ultima è una nuova tecnica di esplorazione dell’universo, che si basa sullo studio dello stesso fenomeno con strumenti diversi che raccolgono dati di diversi messaggeri cosmici: onde gravitazionali, radiazione elettromagnetica, neutrini. La sua nascita risale al 2017, con la prima osservazione di un’onda gravitazionale generata dalla fusione di due stelle di neutroni, per realizzare la quale è stato determinante avere una rete globale di rivelatori, con gli interferometri LIGO negli Stati Uniti e Virgo in Italia, che ha permesso la triangolazione e quindi la localizzazione della sorgente nel cielo con una buona precisione. Non appena rivelato il segnale gravitazionale, la rete globale degli interferometri ha, infatti, lanciato un’allerta dando indicazioni sulla direzione verso cui osservare ai telescopi di radiazione elettromagnetica, sulla Terra e nello spazio. Questi, in brevissimo tempo, si sono riorientati verso l’area del cielo da cui proveniva il segnale gravitazionale, captando i fotoni nelle diverse bande (dalle onde radio fino ai raggi gamma) prodotti nella poderosa esplosione determinata dalla fusione di due stelle di neutroni, avvenuta a 130 milioni di anni luce da noi. Il processo della fusione delle due stelle di neutroni ha, infatti, prodotto quella che viene chiamata “kilonova”, un fenomeno durante il quale il materiale rilasciato nella collisione viene lanciato violentemente lontano nello spazio dando origine a processi di nucleosintesi di elementi pesanti, come il piombo e l’oro, che vengono così distribuiti in tutto l’universo. Questa straordinaria osservazione ha permesso di comprendere molto sulla formazione degli elementi: ora possiamo effettivamente dire che anche noi siamo “polvere” di stelle. Grazie a questa scoperta, si è aperta l’era dell’astronomia multimessaggera, e anche una nuova sfida nello studio dell’universo per la comunità scientifica mondiale.
Alle frontiere dell’universo
ET ci porterà indietro nel passato del nostro universo, fino all’era oscura seguita al big bang, e avanti nel suo futuro aiutandoci a interpretare quale potrebbe essere il suo destino. Aiuterà a comprendere di che cos’è fatto e quali sono i meccanismi degli eventi astrofisici più catastrofici di cui è teatro. Poco sappiamo, infatti, del nostro universo, ne conosciamo poco meno del 5%, la materia ordinaria di cui siamo fatti noi e tutto ciò che riusciamo oggi a osservare. Mentre, di tutta la restante parte, circa il 95%, non sappiamo praticamente nulla. Possiamo solo dire, sulla base di osservazioni astrofisiche, che il 25% è costituito da una forma diversa di materia, chiamata materia oscura, e il 70% da una misteriosa energia oscura. La natura di entrambe ci è ignota, ma sappiamo che hanno avuto un ruolo determinante nella formazione dell’universo così com’è oggi, e che avranno un ruolo altrettanto decisivo nella definizione del suo futuro. Forse l’universo si espanderà con velocità crescente, condannandoci al buio e alla morte termica: la materia decadrà, persino i buchi neri evaporeranno. O forse l’accelerazione sarà talmente violenta da lacerare lo spaziotempo, distruggendo tutte le strutture dell’universo. Alternativamente, l’universo potrebbe rallentare la propria espansione, per poi contrarsi, ritornando alle dimensioni microscopiche da cui era iniziato. E magari il processo potrebbe ripetersi in una serie infinita di cicli. Oggi non ci è dato saperlo: la nostra ignoranza su ciò che l’universo contiene si riflette inevitabilmente sulla nostra attuale incapacità di predirne il destino. Ma ET può contribuire ad aprire la strada verso la comprensione dell’energia oscura, e della natura della materia oscura indagando i buchi neri primordiali, le nuvole di assioni, gli accumuli di materia oscura attorno agli oggetti compatti.
ET sonderà, inoltre, la fisica vicino all’orizzonte degli eventi dei buchi neri mettendo alla prova la relatività generale in condizioni estreme e testando nuove teorie come la gravità quantistica, e potrà verificare possibili modificazioni della relatività generale su scala cosmologica.
ET potrà poi fare astronomia gravitazionale di precisione, e studiare l’intera popolazione di buchi neri di massa stellare, e quelli di massa intermedia accessibili lungo l’intera storia dell’universo, consentendo di comprenderne l’origine (stellare contro primordiale), l’evoluzione e la demografia. ET osserverà la fase inspirale delle stelle di neutroni e potrà fornire una visione senza precedenti della struttura interna di questi corpi celesti, sondando anche le proprietà fondamentali della materia in un regime completamente inesplorato, come la cromodinamica quantistica in condizioni di ultradensità, e possibili stati esotici della materia. ET aprirà le porte di un universo ancora tutto da scoprire.
Banner Image: Vista deformata di un buco nero supermassiccio più grande (disco rosso) quando passa quasi direttamente dietro un buco nero compagno (disco blu) con metà della sua massa / Warped view of a larger supermassive black hole (red disk) when it passes almost directly behind a companion black hole (blue disk) with half its mass.
Credits: NASA’s Goddard Space Flight Center/Jeremy Schnittman and Brian P. Powell