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L’area intorno alla miniera di Sos Enattos, in provincia di Nuoro, è stata individuata come un sito ideale per ospitare l’Einstein Telescope, grazie al suo basso rumore sismico, la scarsa antropizzazione e le sue caratteristiche geologiche. Ma quale è stato il percorso che ha portato a scegliere proprio questo sito, tra i tanti presi in considerazione, come candidato a ospitare il futuro osservatorio di onde gravitazionali? È una storia che parte da lontano: bisogna tornare indietro di oltre 15 anni, quando le onde gravitazionali non erano ancora state scoperte e i ricercatori del settore si dividevano tra gli aggiornamenti degli esperimenti già esistenti, che sarebbero diventati di lì a breve quelli di “seconda generazione” (Advanced LIGO, negli Stati Uniti, e Advanced Virgo, in Italia) e progetti ancora più ambiziosi, che guardavano già alla generazione successiva.

Uno dei protagonisti di quell’epopea è stato Fulvio Ricci, docente emerito di fisica gravitazionale sperimentale alla Sapienza Università di Roma e per anni portavoce dell’esperimento Virgo: in questa veste, nel 2015 ebbe l’onore di annunciare al mondo, in contemporanea con il collega statunitense David Reitze, la prima osservazione diretta di onde gravitazionali. Ma Ricci ha avuto un ruolo decisivo anche nella scelta del sito di Sos Enattos: una storia che merita di essere raccontata direttamente dall’interessato.

Fulvio Ricci

Professor Ricci, quali furono i primi passi del progetto Einstein Telescope?
Tra il 2007 e il 2008 eravamo molto impegnati a definire i limiti che caratterizzavano le curve di sensibilità degli esperimenti in corso. In particolare avevamo ottenuto l’approvazione del progetto Advanced Virgo, ossia la seconda generazione dell’esperimento, dopo aver raggiunto una condizione di sensibilità del rivelatore per cui la curva sperimentale coincideva con la previsione teorica: fu un passaggio importante, che ci diede fiducia sul fatto che i nostri modelli sulla sensibilità dell’interferometro fossero corretti. Tutto ciò ci spinse a pensare ancora più in grande, tanto da iniziare a immaginare un nuovo rivelatore con tecnologie ancora più spinte, che potevano andare addirittura al di là dei limiti di Advanced Virgo. Avviammo così in parallelo alcune ricerche più a lungo termine, incentrate sui problemi che limitavano la sensibilità degli interferometri per onde gravitazionali. Per esempio, nell’ambito del Framework Programme 6 della Commissione Europea, ottenemmo dei fondi per lo studio della riduzione del rumore termico.

Poi che cosa accadde?
La vera svolta per la nascita del progetto Einstein Telescope fu la call europea successiva, il Framewok Programme 7: l’osservatorio gravitazionale europeo EGO, su impulso soprattutto di Michele Punturo della sezione INFN di Perugia (attuale portavoce della collaborazione scientifica ET, ndr) e di Jo van den Brand del centro di ricerca olandese Nikhef, ottenne un finanziamento per definire il disegno concettuale di un nuovo esperimento, che portò poi alla pubblicazione, nel 2011, di un volume in cui si gettarono le basi scientifiche e tecnologiche di ET. Questo progetto fu un vero spartiacque, anche perché rinsaldò la comunità scientifica europea, che all’epoca era divisa sostanzialmente in due fronti: la parte anglo-tedesca, quasi tutta concentrata su LIGO, e quella italo-franco-olandese, al lavoro su Virgo.
Parallelamente allo sviluppo del disegno concettuale di ET, si cominciò anche a esplorare potenziali siti idonei in cui installare il futuro esperimento: ricordo che alcuni dottorandi e ricercatori del Nikhef iniziarono a girare l’Europa per valutare la qualità sismica di alcune località “papabili”, in particolare in Ungheria, Bulgaria, Spagna e Olanda.

E in Italia quali furono le prime opzioni considerate?
Le idee “italiane” che emersero nell’ambito di questa prima ricognizione furono il Gran Sasso, che già ospitava i Laboratori sotterranei dell’INFN, e un sito in Sicilia, non lontano da Agrigento, nei pressi di una miniera di sale. Tuttavia, entrambe le zone presentavano forti criticità, in primis di natura sismica (l’Abruzzo era stato appena colpito dal violento terremoto del 2009), ma anche geologiche: la miniera di sale siciliana, per esempio, non sembrava particolarmente adatta perché molto vicina al mare, senza contare che la forte componente salina non avrebbe potuto garantire un terreno sufficientemente stabile per un esperimento così sensibile.
Così, verso la fine del 2009 iniziai a consultare le mappe sismiche italiane per capire quali potessero essere le zone più idonee, e soprattutto mi ricordai che Adalberto Giazotto, co-fondatore insieme ad Alain Brillet dell’esperimento Virgo, prima di convergere sul sito toscano di Cascina aveva pensato alla Sardegna (terra notoriamente poco sismica) come possibile sede dell’interferometro. Decisi così di approfondire lo studio delle mappe sismiche sarde, concentrando l’attenzione in particolare sulle aree intorno a miniere dismesse. E cominciai a telefonare, dal mio studio della Sapienza, ai gestori di queste miniere.

E qui si arriva finalmente a Sos Enattos…
Dopo alcuni tentativi infruttuosi mi rispose Gianluca Loddo, responsabile della miniera dismessa di Sos Enattos, a Lula. Inizialmente si mostrò un po’ diffidente, anche perché io mi presentai come docente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dimenticando che in quel periodo, in Sardegna, era in corso un vivace dibattito sulla possibilità di ospitare nel territorio sardo scorie nucleari. La parola “nucleare”, insomma, mise subito sulla difensiva il mio interlocutore, che forse temeva di dover fare i conti con una proposta di stoccaggio di scorie nella sua miniera dismessa… Chiarii subito l’equivoco, specificando che l’esperimento in questione riguardava le onde gravitazionali e non aveva nulla a che fare con le scorie nucleari; inoltre, spiegai che al momento avremmo dovuto realizzare solamente delle misure di rumore sismico. La diffidenza di Loddo si ridusse, ma non totalmente: tuttavia, accettò di ricevermi in miniera. Quando andai la prima volta ed ebbi l’opportunità di illustrargli il progetto in modo più dettagliato, fu molto cortese e disponibile, suggerendomi di inviare una lettera a IGEA, la società che gestisce le miniere dismesse in Sardegna, per chiedere un’autorizzazione a realizzare alcune misure preliminari. Così feci, e dopo un po’ di tempo ricevetti finalmente il primo nulla osta: cominciammo quindi a portare i nostri strumenti in Sardegna.

Come andarono quelle primissime misurazioni?
L’adattamento non fu per nulla semplice, perché noi eravamo abituati a lavorare in laboratorio, mentre in questo caso dovemmo attrezzarci per fare misure in campagna. Nella prima sessione di presa dati ci diedero una mano anche i colleghi olandesi, che portarono a Sos Enattos il loro sistema di monitoraggio sismico, mentre noi installammo il nostro sismografo. Pur non avendo a disposizione la strumentazione migliore possibile, già dopo soli tre giorni di raccolta dati i risultati erano molto chiari: quel sito era inesorabilmente il meglio che avremmo potuto trovare per un esperimento di questo tipo.

Questi primi risultati vi diedero la spinta decisiva per andare avanti, oppure doveste superare altri ostacoli?
In quel periodo il problema principale era trovare dei fondi che ci permettessero di proseguire il lavoro di monitoraggio. Ciò accadde solo tra la fine del 2011 e il 2012, cioè oltre un anno dopo le prime misure. A quel punto, però, decidemmo di prendere dati su un periodo più lungo, anche per verificare eventuali effetti stagionali, mettendoli in relazione con i dati raccolti da una stazione meteorologica montata all’esterno. Ancora una volta, le misure confermarono l’eccellente qualità del sito, e lo stesso accadde con tutte le campagne successive fino a oggi. Nel frattempo, le candidature di quasi tutti gli altri siti caddero, per motivi sia scientifico-geologici sia politici, lasciando sul campo (a oggi) solo quelle di Sos Enattos e del sito nella regione dell’Euregio Mosa-Reno.

In tutto questo, quanto è stato importante il rapporto con i minatori di Sos Enattos?
La collaborazione con i minatori è stata fin dall’inizio estremamente positiva, oltre che utilissima per le nostre esigenze: senza la loro disponibilità e cortesia, ma soprattutto senza il loro supporto pratico, non saremmo mai riusciti a fare tutto ciò che avevamo in mente. Ed è una sinergia che continua a essere fondamentale anche oggi.