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di Gloria Nobile

Le onde gravitazionali lasciano il segno. Allungando e restringendo il tessuto spazio-temporale che attraversano, imprimono nell’universo una sorta di “ricordo” cambiando per sempre le distanze tra due punti nello spazio. Questo effetto, noto come memoria gravitazionale, potrebbe essere osservato dalla prossima generazione di rivelatori di onde gravitazionali come LISA, Cosmic Explorer e Einstein Telescope e illustrare le simmetrie dell’universo. Lo dimostra uno studio, condotto da un gruppo di ricercatori guidati da Boris Goncharov del Max Planck Institute for Gravitational Physics, in Germania, pubblicato lo scorso 13 giugno su Physical Review Letters.

Come previsto dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein, la presenza di massa ed energia deforma il tessuto dell’universo, creando delle curve che influiscono sul movimento degli oggetti e sulla propagazione della luce. Tali deformazioni sono create anche dalle onde gravitazionali, increspature dello spazio-tempo prodotte dal moto accelerato di grandi masse, come per esempio buchi neri e stelle di neutroni. In particolare, la curvatura prodotta da un’onda gravitazionale genera altre onde, che curvano ulteriormente il tessuto spazio-temporale: questa “raffica” di onde gravitazionali fa sì che il processo si ripeta, causando un cambiamento nella distanza tra due punti nello spazio. In questo modo, la testimonianza del passaggio di un’onda rimane per sempre, anche una volta spente le oscillazioni che questa ha prodotto.

Questo risultato, previsto per la prima volta già 50 anni fa e chiamato memoria di spostamento, mostra affinità con la memoria di spin, effetto scoperto nel 2016 e legato specificamente al momento angolare trasportato dall’onda. “Catturare” questi due effetti significherebbe rilevare il passaggio di onde gravitazionali senza la necessità di osservarle nell’esatto istante in cui compiono il loro percorso.

L’effetto memoria può essere rilevato osservando le variazioni permanenti nella distanza tra due punti nello spazio-tempo, dopo che un’onda gravitazionale vi è passata. Tuttavia, il segnale prodotto è talmente piccolo che gli attuali interferometri (LIGO, negli Stati Uniti, e Virgo, in Italia) non riescono a individuarlo. I futuri osservatori di onde gravitazionali, tra cui Einstein Telescope, potrebbero invece essere in grado di captare segnali gravitazionali nell’intervallo di frequenze in cui agisce l’effetto memoria, così da illustrare anche le simmetrie dell’universo, trasformazioni geometriche che descrivono il comportamento dello spazio-tempo a grandi distanze, lontano da qualsiasi massa o fonte di gravità.

Uno dei co-autori dello studio appena pubblicato è Jan Harms, docente al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila e membro della collaborazione Einstein Telescope, dove coordina l’Instrument Science Board (gruppo di lavoro dedicato alla definizione del design tecnico del futuro rivelatore).

«Il segnale prodotto dall’effetto memoria non può essere rilevato oggi perché, in generale, la sensibilità degli strumenti odierni non è sufficiente», spiega Harms. «Einstein Telescope sarà più sensibile e avrà una banda di osservazione che si estenderà a frequenze molto più basse rispetto ai rivelatori attuali. Questa è davvero la chiave».

I rivelatori di nuova generazione, diversi per sensibilità e intervalli di frequenza, potrebbero dunque arrivare – seppur con qualche ostacolo – là dove quelli attuali devono confrontarsi con fonti di rumore e sorgenti limitate in termini osservativi. Ad esempio, distinguere tra diversi modelli di simmetria negli eventi di fusione tra buchi neri supermassicci potrebbe essere più alla portata di LISA (Laser Interferometer Space Antenna), che sarà il primo osservatorio spaziale di onde gravitazionali. Mentre, nonostante la sensibilità, i futuri Einstein Telescope e Cosmic Explorer, esperimenti di terza generazione a terra (come LIGO e Virgo) potrebbero avere difficoltà a misurare l’effetto memoria da singoli eventi.

«Anche con Einstein Telescope è improbabile che l’effetto memoria di un’unica onda gravitazionale venga rilevato. È necessario sommare i risultati di molte osservazioni per ottenere prove di questo effetto», conclude Harms. «Questo accadrebbe più rapidamente se rivelatori con prestazioni simili, come il Cosmic Explorer, lavorassero insieme a ET. È solo una questione di tempo».

 

Crediti immagine in evidenza: R. Hurt (Caltech-IPAC)