di Gloria Nobile
Einstein Telescope (ET), il futuro rivelatore di onde gravitazionali di terza generazione, sarà una delle più importanti infrastrutture di ricerca europee dei prossimi decenni. Evoluzione degli interferometri Advanced LIGO, Advanced Virgo e KAGRA – attualmente in funzione – ET permetterà di studiare un volume di universo almeno mille volte più grande grazie alla sua sensibilità che sarà notevolmente potenziata rispetto agli attuali esperimenti, all’aumento delle dimensioni del rivelatore e all’implementazione di tecnologie nuove e innovative.
Quando il telescopio sarà operativo, ci si aspetta un flusso continuo di segnali astrofisici: decine di eventi ogni giorno, ciascuno contenente indizi fondamentali sull’origine dell’universo. Un’enorme quantità di dati che richiederà strumenti per un’analisi sempre più rapida ed efficiente. Per questo motivo, i ricercatori stanno già studiando tecniche di intelligenza artificiale (IA) in grado di distinguere rapidamente il segnale desiderato dalle fonti di disturbo o rumore che potrebbero compromettere le misurazioni dell’esperimento. Tra i protagonisti di questo sforzo c’è Elena Cuoco, professoressa all’Università di Bologna, membro della collaborazione Virgo ed ET e co-coordinatrice della divisione per lo sviluppo di una piattaforma di analisi dati per ET. L’abbiamo intervistata.

Elena Cuoco
Lei ha contribuito allo sviluppo di tecniche di analisi di dati, in particolare per passare dall’analisi del rumore al rilevamento dei segnali transitori. Cosa sono?
Si tratta di segnali che durano poco nel tempo, ma capaci di emettere una grande quantità di energia. Possono essere legati sia a fenomeni astrofisici, come le coalescenze di stelle binarie – che sono proprio i segnali che abbiamo rivelato – oppure il collasso di una stella massiccia, come una supernova. Ma nei nostri dati ci sono anche segnali transienti dovuti al rumore. Il termine tecnico è glitch, cioè un picco di energia rilasciato in brevissimo tempo. È molto importante riuscire a caratterizzarli per poterli rimuovere e isolare il segnale reale.
In che modo?
Noi abbiamo un segnale astrofisico molto piccolo che è immerso in un rumore molto grande. Per ripulire i dati da questo rumore, cerchiamo di modellarlo. In particolare, per identificare e rimuovere i glitch possono essere utilizzate tecniche di intelligenza artificiale.
Può farci un esempio?
Se hai a disposizione un gran numero di questi glitch puoi costruire un dataset con molti esempi e usarlo per addestrare un algoritmo di intelligenza artificiale. Questo algoritmo impara a riconoscere le caratteristiche di quei segnali, esattamente come gli algoritmi che usa Google per riconoscere la nostra voce, la nostra faccia, le nostre abitudini. Una volta addestrato, l’algoritmo è in grado di riconoscere automaticamente nuovi glitch, perché ha già imparato a farlo. È un po’ come il processo di apprendimento dei bambini: vedono una cosa più volte, e poi sono in grado di riconoscerla quando si ripresenta.
L’IA deve quindi “vedere” i dati. Ma come vengono rappresentati?
Nel nostro caso, si tratta di serie temporali simili a un segnale elettrico che varia nel tempo. Possiamo trasformare queste serie in immagini attraverso tecniche di signal processing. Così un transiente, o glitch, può essere rappresentato visivamente con un’immagine che ne conserva le caratteristiche principali. In questo modo, diventa più semplice per l’algoritmo riconoscerlo.
Con ET le osservazioni saranno quotidiane e i dati da analizzare aumenteranno notevolmente. L’IA aiuterà a velocizzare questo processo?
Esattamente. Quando cominceremo ad avere decine di segnali astrofisici al giorno, sarà fondamentale analizzare rapidamente sia i segnali che il rumore. Stiamo studiando tecniche che velocizzano passaggi cruciali come la valutazione della qualità dei dati e la caratterizzazione del rumore. La prima scrematura può essere già fatta una volta che l’algoritmo ha imparato a riconoscere i segnali. Con ET avremo molti più dati, ma anche più tipi di rumore sconosciuti, quindi dovremo essere più veloci possibile. Personalmente, non immagino un’analisi senza un contributo, a qualche livello, dell’intelligenza artificiale.
E quali potrebbero essere i rischi?
Ah, i rischi! Questo è un vecchio discorso, nel senso che c’è sempre la paura che il tuo algoritmo possa imparare cose sbagliate e quindi commettere errori. In realtà, queste tecniche vengono impiegate per l’analisi in tempo reale per trovare le informazioni il più velocemente possibile, ma i dati vengono comunque conservati. Possiamo sempre tornare indietro e analizzarli nuovamente. In generale, se i segnali sono estremamente energetici è difficile sbagliare. Con segnali deboli potrebbe capitare, ma si è sempre in tempo per ripetere l’analisi, anche con metodi diversi. Inoltre, negli ultimi anni si sta lavorando molto alla cosiddetta explanability, la spiegabilità, ovvero la capacità di capire cosa ha imparato l’algoritmo e se la previsione è riproducibile. Io non vedo rischi, ma vantaggi. Ovviamente chi costruisce questi algoritmi deve conoscere a fondo la fisica del proprio esperimento. Quindi per prima cosa bisogna saper fare analisi dati standard, poi si può applicare l’intelligenza artificiale.
Parla di tecniche multimodali applicate all’astronomia multimessaggera. L’intelligenza artificiale rientra in questo approccio?
Assolutamente. L’idea che porto avanti da alcuni anni e che continuo a promuovere è quella di usare un approccio globale all’analisi dei dati, sfruttando input diversi: la serie temporale, l’immagine, il neutrino, un lampo di raggi gamma… Con un algoritmo addestrato a riconoscere informazioni provenienti da eventi multimessaggeri – che ci aspettiamo con Einstein Telescope – sarà possibile estrarre nuova fisica.
Momento amarcord. Lei fa parte della squadra che ha annunciato al mondo la scoperta delle onde gravitazionali. Cosa significa per lei e come si sente oggi, con strumenti ancora più avanzati a disposizione?
Mi sento molto fortunata ad aver fatto parte di quella squadra e di aver vissuto quel momento in diretta. Ricordo ancora quando un collega ci scrisse una mail dicendo “abbiamo visto questa cosa strana”. Gli risposi: “ma che stai dicendo?”, perché anche per noi, che ci lavoravamo da anni, sembrava incredibile. È stata un’emozione fortissima. Oggi quasi ci siamo abituati; l’entusiasmo resta ma ci auguriamo di andare sempre verso cose nuove. Prima c’è stata la fusione di due buchi neri, poi di stelle di neutroni. La mia speranza è quella di riuscire a rivelare una supernova. Con ET potremo esplorare fisica nuova, arrivare quasi a ridosso del Big Bang. Sono certa che ne vedremo delle belle.
Crediti immagine in evidenza: Raúl Rubio/Virgo Valencia Group/Collaborazione Virgo