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Uno degli ingredienti fondamentali dei futuri osservatori di onde gravitazionali, come l’Einstein Telescope, sarà lo sviluppo di sofisticate tecnologie di ultra-alto vuoto. La necessità di riuscire a rilevare le debolissime perturbazioni dello spazio-tempo indotte dal passaggio di un’onda gravitazionale, all’interno degli interferometri, richiede infatti la realizzazione di un sistema da vuoto che elimini il più possibile non solo l’aria, ma anche altre possibili fonti di perturbazione (che possono confondersi con un segnale gravitazionale), come vibrazioni, polveri o effetti elettromagnetici.

Per affrontare al meglio questa difficile sfida, nel 2022 la collaborazione scientifica Einstein Telescope ha stipulato un accordo di collaborazione con il CERN di Ginevra, che da decenni è all’avanguardia nello sviluppo di sistemi di ultra-alto vuoto per acceleratori di particelle, in particolare il Large Hadron Collider (LHC). Si tratta di una collaborazione inedita e un’opportunità di crescita per entrambe le parti coinvolte: da un lato, ET può contare sull’esperienza di alcuni dei maggiori esperti mondiali nel settore delle tecnologie del vuoto, dall’altro il CERN ha l’occasione di misurarsi con un campo di applicazione dell’ultra-alto vuoto molto diverso rispetto a quello con cui deve confrontarsi abitualmente.

Ne parliamo con Paolo Chiggiato, responsabile del gruppo dedicato a vuoto, superfici e coating del CERN e coordinatore (insieme ad Aniello Grado dell’INAF e Nick van Remortel dell’Università di Anversa) del progetto del sistema da vuoto di ET.

Paolo Chiggiato

Il CERN è da anni in prima linea nello sviluppo di tecnologie di ultra-alto vuoto per gli acceleratori di particelle. Perché è così importante e quali risultati sono stati raggiunti finora?
Quando si pensa al concetto di “fare il vuoto”, il primo livello di riflessione è quello di eliminare quanto più possibile l’aria atmosferica. Tuttavia, questo aspetto non rappresenta il problema principale in un acceleratore, ed è relativamente semplice da affrontare. La vera sfida dell’ultra-alto vuoto per gli acceleratori di particelle moderni, caratterizzati da fasci ad alta intensità e altissime energie, è rappresentata dalla presenza di continue interazioni tra il fascio di particelle e le superfici alle quali il fascio stesso è esposto: è necessario quindi anzitutto mitigare questo effetto dinamico, oltre a limitare tutta una serie di altre fonti di interazione di natura elettromagnetica.
Per questo motivo, ormai da decenni si può dire che la fisica del vuoto degli acceleratori è diventata sinonimo di scienza dei materiali e scienza delle superfici. Al CERN, i progressi più importanti sono stati ottenuti nel modificare la superficie dei lunghi tubi di LHC, in modo da minimizzare le interazioni con il fascio di particelle: in particolare, oggi esistono ben sei chilometri di camere da vuoto rivestite di appositi film sottili a base di getter non evaporabili, che garantiscono il pompaggio continuo all’interno dell’acceleratore, mentre altri cinque chilometri saranno rivestiti di film di carbonio amorfo spessi qualche decina di nanometri, per ridurre l’emissione di elettroni secondari e il carico termico nel sistema criogenico.

Finora il CERN non aveva avuto un ruolo diretto nello sviluppo di tecnologie di vuoto per esperimenti sulle onde gravitazionali. Come è nata la collaborazione con il progetto Einstein Telescope?
Come spesso accade, quasi per caso. Nel gennaio 2019 partecipai a un convegno sul tema del vuoto e criogenia per i futuri rivelatori di onde gravitazionali e trovai molti spunti di interesse su questo tema. Inizialmente, su impulso soprattutto del premio Nobel Rainer Weiss (tra i fondatori dell’esperimento LIGO, ndr), cominciai a discutere in modo abbastanza regolare con la comunità americana, impegnata nella progettazione del futuro osservatorio di onde gravitazionali Cosmic Explorer. Ma poco dopo l’interesse e le discussioni si sono estese anche alla comunità europea, e quindi all’Einstein Telescope.
In quest’ultimo caso, soprattutto un elemento ha favorito la nascita della collaborazione: il fatto che ET non abbia una sede ancora definita e veda impegnati ricercatori e ricercatrici di numerose e diverse comunità scientifiche europee garantisce un equilibrio che si sposa perfettamente con la filosofia del CERN, che è un’organizzazione per sua natura non di parte. Da un punto di vista più strettamente formale, un passaggio fondamentale è stata l’inclusione di ET tra gli esperimenti riconosciuti ufficialmente dal CERN, un aspetto che ha reso più semplici gli scambi reciproci.

Quali sono le differenze nell’uso e nell’impatto delle tecnologie di vuoto tra gli acceleratori di particelle e gli interferometri di onde gravitazionali?
In termini puramente quantitativi, il livello di vuoto necessario è abbastanza simile nei due casi. Ciò che segna la differenza più importante è che in un acceleratore il costo del sistema da vuoto non è mai preponderante, anzi nella maggior parte dei casi è una frazione piccola del costo totale, dominato dall’ingegneria civile, dai magneti o dai sistemi di accelerazione. Al contrario, in un esperimento per la ricerca di onde gravitazionali il vuoto è una delle voci più alte in termini di costi. Ciò è vero in particolare per gli esperimenti futuri, come Einstein Telescope, perché il costo del sistema da vuoto tipicamente scala con la lunghezza dei bracci dell’interferometro. Per avere un’idea della differenza, con gli esperimenti attuali Virgo e LIGO abbiamo a che fare con una lunghezza complessiva che varia dai 6 ai 16 chilometri, mentre con Einstein Telescope si passerà a 120 chilometri e per il Cosmic Explorer si parla addirittura di 160 chilometri. Nel caso di ET, il vuoto sarà la seconda voce più alta dei costi, pari a oltre mezzo miliardo di euro, dietro solo alla spesa necessaria per la costruzione delle infrastrutture sotterranee.

Quali implicazioni ha quest’ultimo aspetto?
Dal mio punto di vista è una sfida molto interessante e affascinante, diversa da quelle che siamo abituati a gestire nel contesto di LHC. In questo caso, la necessità di ottimizzare i costi rende obbligatorio valutare e programmare i processi produttivi nella loro globalità, suddividendoli in diversi pacchetti di lavoro: non solo quindi gli aspetti più “classici” come lo sviluppo della tecnologia di vuoto, l’ingegneria meccanica e i trattamenti di superficie, ma anche i trasporti, la logistica e l’installazione diventano componenti fondamentali della gestione, per ridurre i costi e aumentare l’efficienza.

Più nello specifico, in che cosa consiste l’impegno del CERN e quanto durerà?
Gli obiettivi principali sono due: scrivere il technical design report (TDR) del sistema da vuoto dell’Einstein Telescope, la cui consegna è prevista entro la fine del 2025, e costruire al CERN un settore pilota, di circa 45 metri di lunghezza, dove testare direttamente alcune soluzioni tecnologiche per il sistema da vuoto che proporremo. Al momento il settore pilota è in fase di progettazione: l’obiettivo è avere a disposizione entro quest’anno tutti i componenti meccanici e iniziare l’installazione, mentre il prossimo anno sarà dedicato alla raccolta delle misure e alla scrittura del TDR. Una volta deciso il sito dell’esperimento, il nostro compito si concluderà dopo una fase di transizione, in cui passeremo le consegne al gruppo di lavoro di ET che avrà la responsabilità di realizzare il sistema direttamente nel sito scelto.

 

Crediti immagine in evidenza: CERN