di Gloria Nobile
Da giugno scorso, la miniera di Sos Enattos ospita due rivelatori muonici, che si aggiungono ai molti strumenti di misura fisici e geologici già presenti nell’area intorno alla miniera, sito candidato a ospitare il futuro osservatorio di onde gravitazionali Einstein Telescope. I nuovi rivelatori sono stati installati dai ricercatori francesi Jacques Marteau e Jean Christophe Ianigro, dell’Institut de Physique des 2 Infinis (IP2I) di Lione, e dai colleghi ungheresi László Oláh, Gergely Surányi e Dezső Varga, del HUN-REN Wigner Research Centre for Physics, con il supporto del laboratorio di ricerca SAR-GRAV, che ha sede proprio nell’area di Sos Enattos.
Attualmente in fase di calibrazione, questi strumenti – che verranno collocati in diversi punti – raccoglieranno misure per effettuare una tomografia muonica dell’ammasso roccioso sopra la loro posizione all’interno della miniera. Si tratta di una tecnica che utilizza il flusso dei muoni, i “fratelli pesanti” (oltre 200 volte) degli elettroni, per ricostruire dall’esterno un’immagine tridimensionale della struttura interna di un oggetto di grandi dimensioni.
In natura, la sorgente principale di muoni proviene dall’interazione dei raggi cosmici – particelle energetiche che, viaggiando quasi alla velocità della luce, bombardano costantemente la Terra da ogni direzione – con l’atmosfera terrestre. I telescopi muonici registrano le particelle cariche che li attraversano. Poiché i primi sono posizionati sotto terra, le particelle che rilasciano una traccia al loro interno sono perlopiù proprio muoni. Questi ultimi sono infatti altamente penetranti: possono facilmente raggiungere la superficie della Terra ed essere assorbiti dopo aver attraversato grandi spessori di materia, pari a centinaia o anche migliaia di metri di suolo o roccia.
Le potenzialità della tomografia muonica (o muografia) sono state confermate in diversi ambiti di applicazione. Una di queste riguarda lo studio delle strutture vulcaniche: ne sono esempi i progetti MURAVES (MUon RAdiography of VESuvius) e MEV (Muography of Etna Volcano), che sfruttano le proprietà dei muoni per misurare la distribuzione della massa rispettivamente all’interno dei vulcani Vesuvio ed Etna. Un metodo utile, dunque, per ampliare la conoscenza del sistema idraulico di un vulcano, ma anche delle sue dinamiche eruttive.
Ancora, compiuta con la stessa tecnica, la scoperta di una grande cavità detta il “Grande Vuoto” all’interno della piramide di Cheope a Giza, in Egitto, è stata annunciata dal progetto internazionale ScanPyramids all’inizio di novembre 2017.
Andando a misurare in più punti il flusso di muoni è possibile dunque ricostruire l’immagine di grandi strutture. Ed è esattamente quello che accadrà a Sos Enattos. «I muoni hanno una capacità di penetrazione nella materia molto maggiore rispetto ai raggi X, ma la tecnica è molto simile a quella della radiografia», spiega Domenico D’Urso, responsabile scientifico del laboratorio SAR-GRAV e coordinatore di ET Italia. «I raggi X non attraversano le ossa del paziente, quindi ciò che si vede sulla lastra – dove il raggio non è arrivato – è bianco, cioè è l’osso. Allo stesso modo, nei punti in cui non arrivano muoni o ne arrivano di meno, vuol dire che c’è materiale, vale a dire un ammasso roccioso di densità superiore».
Per assicurarsi che “sopra la testa” ci sia una copertura dell’ammasso roccioso uniforme o comunque che sia quella attesa, i rivelatori effettuano misure da diverse postazioni. È necessario infatti raccogliere e incrociare un certo numero di dati per costruire una mappatura e riuscire ad avere una risoluzione tale da capire se ci siano vuoti (con una certa tolleranza) e monitorare poi il quantitativo di materiale per individuare un eventuale flusso d’acqua.
«Noi abbiamo un unicum che è la miniera, che ci permette di fare anche delle misure sotterranee», conclude D’Urso. «In quella posizione, sopra la nostra testa dovrebbe esserci solo roccia. Con i rivelatori muonici vogliamo verificare che sia effettivamente così».