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L’Einstein Telescope (ET) sarà una delle più importanti infrastrutture di ricerca europee dei prossimi decenni. Il progetto prevede la costruzione di una grande opera sotterranea che ospiterà un rivelatore di onde gravitazionali tra i 100 e i 300 metri di profondità, con l’obiettivo di isolarlo da tutte le fonti di rumore (sia di origine naturale sia antropica) che potrebbero interferire con le misurazioni che il rivelatore dovrà realizzare. La costruzione di ET durerà circa 10 anni e richiederà uno sforzo ingegneristico notevole, soprattutto per la necessità di adeguare le tecniche costruttive in sotterranea alle richieste della comunità scientifica. Indipendentemente dalla scelta finale del sito (o dei siti, nel caso si optasse per la costruzione di due rivelatori in Europa) e dalla geometria dell’esperimento, ancora in discussione, il progetto sarà fondato sul rispetto dei principi di sostenibilità, tali da minimizzare l’impatto ambientale ed energetico dell’infrastruttura lungo il suo intero ciclo di vita. Si tratta di un aspetto chiave, che già oggi sta guidando le prime fasi di studio di ET.

Ne abbiamo parlato con Maria Marsella, docente ordinaria di geomatica al Dipartimento di ingegneria civile e ambientale (DICEA) della Sapienza Università di Roma e fortemente coinvolta nel progetto Einstein Telescope, sia a livello internazionale sia nazionale: nell’ambito dell’Einstein Telescope Organisation (ETO) è responsabile del gruppo di ingegneria civile ed è coordinatrice del Work Package 6 (dedicato alla progettazione sostenibile) del progetto PNRR ETIC, promosso dal Ministero dell’università e ricerca (MUR) e coordinato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN).

Maria Marsella

A livello generale, quali sono le principali sfide ingegneristiche di Einstein Telescope?
Si tratta di un’opera che prevede la costruzione in sotterranea di oltre 30 chilometri di tunnel di più di sei metri di diametro, oltre a tre grandi caverne di circa 20 metri di altezza, connesse con infrastrutture di superficie al servizio degli impianti sotterranei. La prima sfida è naturalmente nella scelta delle tecniche costruttive per lo scavo e nella definizione della strategia per la gestione del materiale estratto, la cui quantità sarà davvero notevole: è attualmente stimata tra i tre e i quattro milioni di metri cubi.
In realtà, le attuali tecniche di ingegneria civile rendono la costruzione di queste opere una pratica consolidata, che non comporta particolari problemi. La vera sfida ingegneristica di un’opera come ET è un’altra: la necessità di rispondere ai requisiti scientifici, che sono ovviamente molto diversi da quelli di un’opera civile in sotterranea qualsiasi.

Quali sono questi requisiti?
La costruzione degli ambienti deve avvenire lontano da fonti di vibrazioni acustiche o meccaniche, oppure in condizioni che permettano un’adeguata schermatura. È poi necessario adottare soluzioni efficaci per la raccolta e lo smaltimento delle acque, perché anche queste ultime generano rumore in un ambiente sotterraneo. Ci sono poi tanti altri aspetti complessi che riguardano la logistica per il montaggio dei grandi tubi da vuoto sotterranei, gli impianti di criogenia e tutti i vari sistemi di controllo e sicurezza. In alcuni casi, il lavoro degli ingegneri civili sarà quello di prendere spunto dall’esperienza maturata nella costruzione di infrastrutture già esistenti, come per esempio l’acceleratore LHC al CERN di Ginevra o gli stessi osservatori gravitazionali attuali, adattandola a questa nuova sfida ancora più complessa. In altri casi, si tratterà di ideare nuove soluzioni completamente da zero, come per esempio le connessioni tra le infrastrutture sotterranee e quelle di superficie.

Le sfide ingegneristiche vanno di pari passo con quelle ambientali e di sostenibilità. Quali sono le prospettive da questo punto di vista?
La fase preparatoria del progetto Einstein Telescope si sta realizzando nel contesto del progetto europeo ET-PP (Einstein Telescope Preparatory Phase), finanziato dalla commissione europea all’indomani dell’approvazione di ET da parte dell’organismo europeo ESFRI. Una delle azioni più importanti del progetto è proprio la definizione di una strategia per la sostenibilità a lungo termine dell’infrastruttura di ET. Questa strategia deve cercare di tenere conto di tutti gli aspetti che possono avere un impatto a livello ambientale e di sostenibilità, a cominciare proprio dalla gestione e trattamento del materiale di scavo – che richiede una grandissima preparazione in fase di progettazione e un occhio di riguardo per le soluzioni più sostenibili – fino ad arrivare ad aspetti più immateriali, ma altrettanto cruciali, come l’impatto energetico dei centri di calcolo.

Anche in questo caso sarà utile fare riferimento a esperienze virtuose già in corso?
Sicuramente sì: il CERN, per esempio, è un modello di eccellenza, con l’obiettivo di azzerare le emissioni che impattano sull’ambiente entro il 2050. Tuttavia, nell’ambito di ET abbiamo un vantaggio competitivo enorme: possiamo pensare a soluzioni sostenibili già nella fase di progettazione, immaginandole nell’intero ciclo di vita dell’infrastruttura, dalla fase di costruzione alla messa in opera, fino al funzionamento in piena attività e al cosiddetto decommissioning, quando l’infrastruttura cesserà di funzionare e bisognerà riconvertire in modo sostenibile tutte le opere costruite. Si tratta di un processo che dovrà essere intrinseco a tutta la progettazione tecnologica e ingegneristica.

Come si calano queste strategie nel contesto del sito candidato di Sos Enattos?
Una delle azioni fondamentali del progetto ETIC è proprio uno studio preliminare per la progettazione sostenibile di ET nel sito sardo. Quello di Sos Enattos è un sito di grande pregio naturalistico e culturale, scarsamente antropizzato e con poche infrastrutture. Ne conosciamo ormai molto bene le caratteristiche geologiche, il che ci permette di prevedere il tipo di trattamento necessario per i materiali di scavo. Tutte le soluzioni che si troveranno dovranno essere guidate dai principi della sostenibilità, del rispetto dell’ambiente e dal miglioramento del territorio. In particolare, uno degli obiettivi fondamentali dovrà essere quello di non alterare il paesaggio: le infrastrutture di superficie dovranno essere calate sul territorio, energeticamente autosufficienti e con un basso impatto ambientale. Inoltre, le attività saranno pensate anche per favorire iniziative di tipo imprenditoriale o di innovazione tecnologica locale: per esempio, si potrebbero creare delle filiere che favoriscano il riuso dei materiali di scavo.

Quali sono le idee in campo per l’approvvigionamento energetico di ET?
Naturalmente è ancora prematuro avere una valutazione precisa del budget energetico adeguato per l’infrastruttura, che arriverà all’indomani delle indagini geologiche approfondite attualmente in corso. Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sappiamo già che un impianto come ET non richiederà un enorme apporto di energia, specie se paragonato ad altre grandi infrastrutture di ricerca come gli acceleratori di particelle. Sarà importante progettare una rete intelligente di sistemi di energia, che potranno andare dal solare all’eolico (al di fuori delle aree di rispetto), fino al geotermico (da valutare a valle delle indagini geologiche), puntando anche sul potenziamento della rete locale standard, con evidenti benefici per il territorio interessato.

(ms)