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di Gloria Nobile

Attualmente, gli unici strumenti in grado in rilevare il debole segnale prodotto dalle onde gravitazionali – minuscole vibrazioni dello spaziotempo – sono gli interferometri laser. Le tecnologie in fase di sviluppo per Einstein Telescope (ET), il futuro osservatorio che si aggiungerà ai già attivi LIGO, Virgo e KAGRA, promettono di aumentarne la sensibilità, consentendo di osservare un volume di universo mille volte più grande.

Per raggiungere questo obiettivo, però, ET dovrà affrontare una serie di sfide: fra queste, eliminare o mitigare le diverse fonti di rumore che potrebbero compromettere le misurazioni dell’esperimento. Gli interferometri terrestri operano in una banda di frequenze che va da qualche hertz ad alcuni chilohertz. Tuttavia, ogni intervallo di frequenza è dominato da diverse sorgenti di rumore, ognuna con un impatto variabile sulle prestazioni di un esperimento come Advanced Virgo o, un domani, Einstein Telescope. Di conseguenza, l’ottimizzazione della risposta ai segnali gravitazionali – quella che definiamo “sensibilità dello strumento” – richiede di identificare e ridurre al minimo i rumori più limitanti in ciascuna regione di frequenza.

In qualche modo, il rumore si sovrappone al segnale di un’onda gravitazionale; per ET è quindi fondamentale riuscire a distinguere il segnale desiderato da queste fonti di disturbo che, se non adeguatamente attenuate, renderebbero impossibile effettuare le misurazioni. «Alle alte frequenze, sopra i 300 hertz, il principale disturbo è il rumore quantistico, un effetto legato alla natura stessa della luce laser utilizzata negli interferometri», spiega Barbara Garaventa, leader dell’unità di ricerca ET Genova e reclutata nell’ambito del progetto ETIC. «Ridurre questo rumore è necessario poiché gli effetti dovuti alle onde gravitazionali sono così piccoli da poter essere confusi con le fluttuazioni di vuoto della luce».

Questo rumore si manifesta sia a causa delle fluttuazioni nel numero di fotoni che raggiungono il rivelatore, sia per via di piccole variazioni nella posizione degli specchi dovute alla pressione esercitata dalla luce stessa. Per mitigare questi effetti si utilizza una tecnica di ottica quantistica chiamata squeezing, che permette di ridurre l’incertezza quantistica su uno dei due parametri – posizione o impulso – della luce.

«Un altro modo per ridurre il contributo del rumore quantistico alle alte frequenze consiste nell’aumentare la potenza di ingresso nell’interferometro», precisa Lorenzo Aiello dell’Università di Roma Tor Vergata, anche lui ricercatore nell’ambito del progetto ETIC. «Questo è uno dei principali motivi per cui ET sarà diviso in due rivelatori, uno ottimizzato per le basse frequenze, criogenico, e uno ottimizzato per le alte frequenze, con fino a tre megawatt di potenza circolante in esso».

Legato alla dissipazione di energia nei materiali degli specchi e delle sospensioni, il rumore termico invece domina nella banda tra 10 hertz e qualche centinaio di hertz. Una soluzione promettente per mitigarlo è l’utilizzo della criogenia, già implementata nel rivelatore giapponese KAGRA. Questa tecnica consiste nel raffreddare gli specchi e le sospensioni, riducendo drasticamente le fluttuazioni termiche che potrebbero interferire con le misurazioni. Il raffreddamento criogenico deve, però, bilanciarsi con la potenza dei laser, che tende a riscaldare gli specchi. Poiché questi ultimi sono sottoposti a pressioni estreme sia meccaniche che termiche, una linea di ricerca molto attiva è rivolta all’identificazione di nuovi materiali per i rivestimenti (coatings), così da sostituire gli attuali substrati in silice fusa. Questi materiali devono garantire non solo resistenza alle sollecitazioni termiche indotte dal laser, ma anche bassa perdita ottica. Il silicio, ad esempio, è un candidato ideale per gli specchi criogenici, grazie alla sua conducibilità termica e alla bassa dissipazione. Parallelamente, sono in fase di studio rivestimenti ottici avanzati, progettati per ridurre il rumore termico senza compromettere la riflettività.

«I materiali di cui sono fatte le ottiche sono caratterizzati da diverse proprietà. Pensando al substrato, un parametro chiave è l’assorbimento, ovvero quanta potenza assorbe al suo interno quando viene attraversato da un fascio laser», sottolinea Aiello. «Per Einstein Telescope serviranno dei materiali con prestazioni molto migliori di quelli attuali, sotto diversi punti di vista. Attualmente diversi laboratori, tra cui quello di Tor Vergata, stanno lavorando per caratterizzarli e individuare i più promettenti per la prossima generazione di rivelatori».

Tuttavia, anche migliorando l’assorbimento, l’utilizzo di valori di potenza laser così elevata farà comunque assorbire una quantità di calore non trascurabile dentro gli specchi, generando aberrazioni ottiche molto più grandi di quelle attuali. «Se non correttamente compensate, le aberrazioni ottiche – deformazioni indesiderate dei fronti d’onda della luce – possono seriamente compromettere il corretto funzionamento dello strumento», continua Aiello. «Per questo motivo a Tor Vergata, partendo dalla lunga esperienza accumulata nella correzione delle aberrazioni su Advanced Virgo in questi anni, stiamo sviluppando nuovi metodi per la loro rivelazione e correzione in vista di ET con la creazione di un’apposita facility».

Arriviamo alle basse frequenze, sotto i 10 hertz, dove il rumore predominante è quello sismico, generato dalle vibrazioni naturali e artificiali del terreno. La superficie del pianeta è costantemente scossa da fenomeni come il movimento delle placche tettoniche, il vento, le onde del mare e le attività umane. Tali movimenti si trasmettono attraverso le sospensioni fino agli specchi dell’interferometro, alterando il segnale delle onde gravitazionali.

Le fluttuazioni causate da movimenti di persone, auto, treni e tutto ciò che avviene nelle vicinanze dell’apparato strumentale, inoltre, causano variazioni del campo gravitazionale terrestre, il cosiddetto rumore Newtoniano. Quest’ultimo, ancora più insidioso, a differenza del rumore sismico agisce direttamente sugli specchi e non può essere schermato fisicamente. La soluzione è spostarsi sottoterra, dove i movimenti del suolo sono significativamente ridotti. Ed è proprio per questo che l’Einstein Telescope sarà collocato a circa 200 metri di profondità.

Ancora, uno dei problemi che limiteranno gli interferometri di terza generazione è la sensibilità ai campi magnetici e alle loro fluttuazioni, il cosiddetto rumore magnetico, particolarmente critico alle basse frequenze. Lo sforzo per attenuare le sorgenti di tale disturbo si concentra su due fronti: controllo della componente di rumore ambientale del rivelatore, il cosiddetto “rumore auto-inflitto”, e riduzione del coefficiente di accoppiamento, cioè l’efficienza con cui i campi magnetici si accoppiano ai componenti sensibili del rivelatore, interferendo con le misure che ET dovrà effettuare. Occorre, quindi, sviluppare strategie di mitigazione del rumore magnetico in prossimità di parti sensibili dell’interferometro.

«A Genova stiamo sviluppando una facility, MANET, che ha la funzione di caratterizzare l’emissione magnetica di diversi dispositivi e di compensare eventuali campi esterni», conclude Garaventa. «Una delle strategie di mitigazione consiste nello schermare i dispositivi magnetici, con strati di materiale ad alta permeabilità magnetica. Con MANET sarà possibile quantificare l’efficacia della schermatura (in inglese shielding), confrontando i risultati ottenuti con e senza lo shielding, oltre a verificarne la qualità del prototipo rispetto ai dati delle simulazioni».

Per saperne di più, guarda le interviste a Barbara Garaventa e Lorenzo Aiello sul canale YouTube di ET Italia.

Banchi ottici di squeezing