di Gloria Nobile
Sarà Sos Enattos la casa del futuro osservatorio di onde gravitazionali, Einstein Telescope (ET)?
Il progetto ET prevede la costruzione di una grande infrastruttura sotterranea con un insieme di tre caverne che ospiteranno dei laboratori collegati da due o tre tunnel di circa 11-15 chilometri di lunghezza ciascuno. Nel complesso, l’interferometro sarà posizionato tra i 100 e i 500 metri circa di profondità all’interno delle montagne della Sardegna tra i comuni di Bitti e Lula, nel Nuorese. Costruire l’interferometro in questa zona – tettonicamente tra le più stabili del nostro Paese – e a queste profondità servirà a farlo operare in condizioni di “silenzio”, isolandolo dalle vibrazioni generate sia dalle onde sismiche che dalle attività umane, che costituiscono quello che viene definito “rumore”, vale a dire una fonte di disturbo per le misure che ET dovrà realizzare. Anche l’acqua che scorre nelle fratture può rappresentare una sorgente di rumore e, oltre che una risorsa da gestire, può diventare un eventuale problema di costruzione, manutenzione e funzionamento dell’osservatorio. Per questo motivo, si sta cercando di individuare per i vertici di ET aree che siano il più possibile lontane dalla presenza di acqua sotterranea.
Per scoprire dove e in che quantità l’acqua scorre e tende ad accumularsi, l’area a nord di Sos Enattos è stata esplorata con varie tecniche. Nel 2020-2021 sono stati scavati i primi due pozzi (profondi circa 250 metri) che hanno fornito le prime informazioni sulle rocce e la circolazione dell’acqua nella zona. Nel corso degli anni sono state poi effettuate varie osservazioni geomorfologiche attraverso immagini satellitari, studi sulle rocce affioranti basati sulla geologia strutturale e misure geofisiche della struttura del sottosuolo condotte con l’uso di masse vibranti e geofoni (tecniche di sismica attiva) e facendo passare l’elettricità nel suolo (geoelettrica). Questa ricerca transdisciplinare, coordinata dai ricercatori dell’Università di Sassari ha coinvolto l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), ed è stata recentemente riassunta in un nuovo articolo pubblicato su Tectonophysics.
«Tante persone con competenze diverse lavorano per dimostrare le qualità di Sos Enattos e l’area che dovrà ospitare ET nelle profondità. In questo articolo abbiamo unito tecniche differenti per misurare la grandezza dei volumi di roccia dove circola dell’acqua e la forma e distribuzione di queste zone fratturate, che chiamiamo acquiferi», spiega Luca Cardello, ricercatore in geologia strutturale presso l’Università di Sassari. «Per la prima volta abbiamo caratterizzato in estremo dettaglio gli acquiferi nelle rocce metamorfiche, gli scisti, e nelle rocce magmatiche dell’area, i graniti. In entrambi i casi abbiamo trovato delle rocce di ottima qualità e con pochissima acqua. Quando c’era, questa era concentrata in volumi fratturati. Abbiamo dimostrato che possiamo predire la presenza di questi acquiferi noti in letteratura come “acquiferi sospesi” dall’analisi delle immagini satellitari, e con lo studio di queste strutture sul terreno. La geofisica poi ci ha permesso di capire come proseguono in profondità. Infine, i pozzi ci hanno permesso di intercettare questi acquiferi comprovando le nostre ipotesi».
Grazie ai dati ottenuti dai sensori posti a 250 metri di profondità a fondo pozzo, il rumore è stato misurato non solo in superficie, ma anche in profondità.
«Non è stato semplice, perché il rumore di fondo è talmente basso che il rischio era quello di misurare il rumore prodotto dagli strumenti stessi», sottolinea Domenico D’Urso, docente all’Università di Sassari e responsabile scientifico di ET Italia.
Questa fase di indagini fa parte dello studio di pre-fattibilità. A supporto, sono in corso analisi geologiche e geofisiche su 12 nuovi sondaggi profondi che si spingono anche fino a 500 metri di profondità. In un secondo momento seguiranno, in vista di un progetto esecutivo, nuove campagne di misura lungo i tracciati previsti da ET per prevedere meglio la distribuzione e la qualità delle rocce in profondità affinché il dispositivo funzioni al meglio e resti quanto più isolato da ogni sorgente di rumore sismico.
«Questa pubblicazione rappresenta un primo passo per lo sviluppo delle ricerche geologiche sull’area, che – assieme agli studi dell’Università di Cagliari, del Servizio Geologico e dell’INGV – permetteranno di conoscere sempre meglio un’area ben più vasta, esplorandone così il potenziale in termini di rischi e risorse», aggiunge Cardello.
«Dal punto di vista idrogeologico, la presenza d’acqua è risultata solo superficiale: non abbiamo trovato falde profonde significative che possano interferire con la costruzione delle caverne sotterranee», conclude D’Urso. «Tutto ciò conferma la bontà del sito in termini di qualità geologica e quindi della capacità di ospitare l’infrastruttura senza aspettarci grandi problemi».